Don Francesco Beniamino Della Torre (in uno scritto di Don Nunzio Casati)
Non ho mai conosciuto personalmente Don Della Torre.
Tuttavia, ne ho sentito parlare moltissimo.
La prima volta ho avuto tra le mani La lettera a Thomas Hall in liceo. Ma non l'ho letta.
Quando "l'obbedienza" mi ha inviato nel 1979 ad Arese, da pochi mesi prete, sono stato preso dal desiderio di documentarmi di quella casa. Ho letto tutto quello che era stato scritto su Arese.
Mi aveva colpito soprattutto quella famosa Lettera a Thomas Hall, che non sciorina una serie di consigli, ma indica un metodo educativo.
So di averne parlato a Don Chiari e poi al dottor Grillo, i quali pensarono di pubblicarla in forma più elegante.
Mi aveva colpito quell'espressione: "Voi siete l'agricoltura di Dio", riferendosi ai ragazzi in difficoltà, ospiti del Centro.
Poi, per il mio orientamento, mi aveva interessato la Sua attività a favore della Resistenza e del Comitato di Liberazione dell'Alta Italia, la sua fuga - già allora romanzata - nelle campagne di Sesto, e, infine, tutta la sua azione innovatrice ad Arese.
Anche la sua morte, appena fuori dalla libreria Paravia a Milano, mi era risultata rivelatrice di una storia mai banale.
Avendo lavorato per undici anni ad Arese e ormai tredici a Sesto, la figura di Don Della si è impressa nella mente, anche per aver incontrato tante persone che me ne hanno parlato: dalla Calligaris, che l'ha ospitato, alla Lina, che l'ha rincorso ovunque come segretaria, ma pure gli aneddoti di Arese quando annunciò di aver comprato per i ragazzi una nave per portarli in crociera, alle "Ave Maria" dette al ritmo delle ruote della Su "Appia".
Non ho vissuto con lui, ma ho visto quello che ha saputo fare.
Soprattutto l'entusiasmo che ha suscitato e la solidità delle persone che ha formato.
Qui a Sesto certamente è rimasto impresso il suo stile: non si rinchiudeva in casa, in parrocchia, o nella scuola.
Abitava il quartiere, frequentava la gente, stanava gli industriali.
Ma aveva in mente i giovani.
Era un Salesiano!
Voleva costruire per i giovani un Centro che fosse un riferimento per loro, una *Città dei Ragazzi".
Un ambiente popolare che non tradisse l'origine della città, che fosse in grado di rendere giustizia della fatica quotidiana, Di prospettare un futuro non asservito alle ideologie di massa e del consumo, capace di formare uomini veri e liberi.
È il progetto di Don Bosco: “Buoni cristiani e onesti cittadini”.
Progetto valido tutt'oggi, quando le persone di riferimento spesso non sono né buone né oneste (è da troppi anni che si parla di questione morale per dire che si è raggiunta!)
Sono convinto che Don Della Torre sarebbe propositivo nuovamente nella temperia odierna, schiacciata tra il velleitarismo e la depressione, tra l'apparenza e il mondo virtuale.
Crederebbe di nuovo ai giovani, perché non è possibile che il Padre Eterno mandi una generazione vuota di valori.
Occorre scoprirli per dare loro slancio un'altra volta.
È questa la speranza.
Una speranza che non può alimentarsi dei "grandi vecchi", che non sono stati in grado di consegnarci istituzioni degne di quei padri, che per esse hanno combattuto.
C'è bisogno di giovani, c'è bisogno di speranza e di futuro.
È inutile: la generazione che attualmente “comanda e gestisce" non è stata in grado di dare sostanza ai loro progetti.
C'è la necessità di giovani “nuovi".
C'è bisogno che ancora sorgano dei "Don Bosco" per oggi
E, perché no? , anche dei “Don Della Torre”, che sappiano concretizzare e indirizzare le nuove aspirazioni.
​
​